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avanti all attacco, tutti allegri e fieri e pieni di coraggio.
Su dalle mura di Gaeta sparavano i cannoni: ma quelli
non se ne davano per intesi: pareva andassero a nozze,
con in testa la bandiera e la fanfara. Re Franceschiello,
che vedeva da Gaeta che le cannonate non facevano ef-
fetto, pens�: �O quelli sono dei pazzi, o qui ci sta qual-
cosa di strano. Mo mi ci voglio provar io a tirare una
cannonata�. Detto fatto. Fece pigliare una bella palla, la
fece mettere nel pezzo, e lui stesso, il Re, spar�. Bum!
Quando videro cadere la palla, Garibaldi e le sue cami-
cie rosse non ne aspettarono una seconda, e se la diede-
ro a gambe. Perch� i colpi di prima erano tutti a polvere:
Garibaldi si era messo d accordo, come Carnera. Quan-
do il Re tir� la cannonata vera, Garibaldi disse: �Qua a
Gaeta non va pi� bene. Ragazzi, andiamo a Teano!� E
cos� and� a Teano.
Pappone, Prisco, i carrettieri, i mercanti, tutti risero:
Garibaldi non � popolare quaggi�; e la gloria di Carnera
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Carlo Levi - Cristo si � fermato a Eboli
fu definitivamente sepolta. Anche il Capitano dovette ri-
conoscersi sconfitto; soltanto Boccia, che per la menin-
gite sofferta non era in grado di afferrare in fretta gli ar-
gomenti, rimase imperturbabile. Appunto per questo
suo difetto, gli avevano dato quel posto in municipio,
che consisteva nel tenere in ordine delle carte, e fare un
po da messo e da fattorino: i minorati, quaggi�, sono
molto ben visti, e protetti dalla popolazione. Del resto,
come succede spesso in casi simili, se Boccia era un po
lento d ingegno, aveva una memoria di ferro, che si limi-
tava per� agli oggetti delle sue passioni dominanti. Que-
ste erano due: lo sport e il diritto. Egli sapeva a memoria
i nomi di tutti i componenti le squadre di calcio di tutta
Italia negli ultimi anni, e usava recitarmeli, come litanie,
con gli occhi brillanti di piacere. Ma l altra sua passione
era ancora pi� vivace. Il diritto, gli avvocati, le cause in
tribunale lo colmavano di estasi e di delizia. Sapeva a
memoria i nomi di tutti gli avvocati della provincia, e
brani delle loro cause pi� celebri; e in questo non era il
solo, perch� l amore per l oratoria forense � quaggi� ab-
bastanza generale. Ma un fatto accaduto due o tre anni
prima era diventato l avvenimento pi� importante e bea-
tificante della sua vita. Per qualche causetta di confini,
una sezione distaccata di pretura aveva tenuto una
udienza proprio qui a Grassano, e c era venuto a parlare
il pi� grande avvocato di Matera, il famoso avvocato La-
tronico. L arringa di Latronico, Boccia la sapeva a men-
te intera: e non passava giorno che non la ripetesse, ac-
cendendosi di ammirazione nei passi pi� emozionanti. 
Lupi di Accettura, cani di San Mauro, corvi di Tricari-
co, volpi di Grottole e rospi di Garaguso!  aveva detto
Latronico nella sua perorazione. A Boccia questo pareva
il pi� alto volo dell oratoria universale.  Rospi di Gara-
guso!  andava ripetendo con compunzione e con enfa-
si, secondo l umore del giorno;  proprio cos�, rospi di
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Garaguso, perch� stanno vicino all acqua, sopra il pan-
tano. Che discorso!
A tavola, oltre ai maccheroni con la salsa di Pappone,
c era del prosciutto, magro, saporito, tagliato a grosse
fette, di un sapore assai diverso dai nostri prosciutti del
nord, che io trovavo eccellente. Ne feci le lodi con Pri-
sco, che mi disse che quello era prosciutto di montagna,
che egli stesso andava a cercarlo dai contadini dei pae-
setti pi� alti e lontani. Erano prosciutti piccolissimi, e
costavano quattro lire al chilo. Quando dissi a Prisco
che in citt� lo si pagava almeno cinque volte tanto, il suo
spirito vivace immagin� subito un affare. Mi propose, se
avevo degli amici che si potessero incaricare della vendi-
ta, di fare una societ�, lui e io, per il commercio dei pro-
sciutti. Egli si sarebbe occupato di andare in giro per i
monti a incettarli, io, attraverso i miei corrispondenti, di
venderli. Se ne sarebbero potute trovare delle quantit�
discrete, e, forse, negli anni venturi, si sarebbe potuta fa-
re aumentare la produzione. Io non ho alcuno spirito
commerciale, e forse appunto per questo la proposta mi
parve bellissima. Risposi che, poich� si parlava di Gari-
baldi, avrei potuto fare come lui, che, in circostanze ab-
bastanza analoghe alle mie, si era messo a vender cande-
le; che fra le candele e i prosciutti non vedevo molta
differenza, e avrei veduto di occuparmene. Spinto dal
calore della novit�, scrissi a un amico, esportatore e
commerciante delle cose pi� diverse nei pi� strani paesi
del mondo. Dopo parecchio tempo ebbi la risposta che i
prosciutti non lo interessavano; che, per quanto ottimi,
erano di una qualit� diversa da quella a cui il pubblico
era abituato, che si sarebbe dovuta creare una organiz-
zazione di vendita sproporzionata alla piccola quantit�
della merce; e che vedessi invece se si poteva trovare
della ginestra che, in quei tempi di autarchia, era molto
ricercata. La ginestra � il solo fiore di questi deserti, cre-
sce dappertutto in cespugli aridi, pasto delle capre. Ma i
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miei entusiasmi di commercio lucano si erano ormai raf-
freddati, e la cosa non ebbe seguito.
Quella prima sera di compagnia, tra i progetti di affa-
ri, le storielle allegre e la critica storica garibaldina, pas-
s� presto. L orco di Brindisi si ritir� a dormire sul suo
camioncino, per meglio sorvegliare che non gli rubasse-
ro le stoffe durante la notte; i carrettieri partirono, nel
buio, per Tricarico, e Pappone ed io restammo i soli
ospiti di Prisco; perci� potemmo avere ciascuno una ca-
mera, senza doverla, per quella notte, spartire con altri.
Volevo alzarmi presto, l indomani. Avevo progettato di
scendere in basso, fin quasi al Basento, per dipingere
Grassano come l avevo vista di laggi�, dalla stazione, al-
ta sul cielo come una citt� d aria. Antonino, saputa la
mia intenzione, mi aveva proposto di accompagnarmi:
all alba mi aspettava alla porta, con un mulo per portare
le tele e il cavalletto, e un gruppo di amici che volevano
tutti venire con me. C era Riccardo, c era Carmelo, il
manovale ciclista dei monachicchi, un falegname, un
sarto, due contadini e due o tre ragazzi. Il tempo era gri-
gio, solava il vento, ma si poteva sperare che non sareb-
be venuta la pioggia. In quella luce diffusa e fredda delle
nuvole, le cose apparivano pi� rilevate, e forse meno tri-
sti nella loro monotonia che sotto la vampa crudele del
sole: era il tempo che preferivo per il mio quadro. Il fi-
glio minore di Prisco si un� a noi. Il Capitano ci salut�
dall uscio: la strada era troppo lunga per la sua gamba
zoppa. Con Barone in testa, saltellante staffetta, comin-
ciammo la discesa, per il sentiero ripido che, evitando le
curve e le giravolte della strada, arriva, in otto o dieci
chilometri, al fondo della valle. Per quella stessa strada,
e quasi con la stessa compagnia, ero sceso, un giorno
d agosto, a fare un bagno nel Basento, in un angolo iso-
lato del fiume, dove l acqua ristagna in una pozza, tra
pochi alberi di pioppo, che sembrano stranamente ap-
partenere a un altro paesaggio, piovuti a radicarsi qui
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